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'VENTI ed EVENTI, ragionando sui fatti della politica' a cura di Micky De Finis del 10 marzo 2012
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'VENTI ed EVENTI, ragionando sui fatti della politica' a cura di Micky De Finis del 10 marzo 2012
11/03/2012
VENTI
ED
EVENTI

http://www.studio9tv.com/zoom.asp?id=2209

di Micky de Finis
10 marzo 2012

Sarò Franco!
Salve.
E’ una quaresima molto movimentata quella che scandisce il tempo del Popolo della Libertà in Capitanata che oggi eleggerà il segretario del partito. Invero non saprei dire fino a che punto l’agone congressuale riuscirà a percorrere strade di conversione e di purificazione che il periodo detta, ma è innegabile che il congresso si farà e che Franco Landella sarà chiamato a guidare il partito.
Ho pensato che una riflessione su questo importante momento politico del più grande partito del Paese e della Capitanata fosse doverosa, anche perché non sono mancate polemiche in una fase indubbiamente delicata del cambiamento che attraversa pure il campus berlusconiano.
Sul piano nazionale i sondaggi non confortano certo il Cavaliere perché tutti lo vedono in una certa difficoltà, in un momento di debolezza o di apnea come qualcuno descrive, un momento che si potrebbe superare, secondo gli addetti ai lavori, solo rimettendo in scena il carisma di Silvio Berlusconi, tenuto conto che il pur bravo Angelino Alfano non sembrerebbe dotato di quel quid necessario per incarnare il ruolo di una vera leadership.
C’è poi tutta una questione di situazioni nuove che bussa alla porta e anche con una certa insistenza, come l’idea di una sigla diversa per attrarre nuovi elettori dal terzo polo o dai moderati del partito democratico; questo feeling tra Alfano e Casini che non andrebbe giù al Cavaliere anche perché c’è chi sostiene che lo stesso Pierferdinando non disdegnerebbe di lanciare un’opa per saldare vecchi conti appesi con il Berlusca.
E’ in un contesto di questa natura che si è consumato il congresso fondativo del PdL di Capitanata, un partito dalle diverse sfaccettature che ha dovuto fare i conti, come del resto accade negli altri schieramenti, con il tema spinoso del cambiamento e del rinnovamento.
Pur non essendo un addetto ai lavori, mi pare che la scelta di Franco Landella riesce a cogliere i due aspetti, non solo per un fatto generazionale ma anche perché non era facile sostituire un uomo dalla consumata esperienza come Gabriele Mazzone.
Va anche detto che non è stato semplice arrivare a questa soluzione perché altri avevano immaginato, in maniera del tutto legittima, di voler concorrere per l’importante incarico.
Uno di questi era Roberto Ruocco, uomo di esperienza e anche di una certa consistenza politica di peso per la sua stessa storia personale. C’era anche Leo Di Gioia cui va dato il merito di aver scompaginato un po’ le carte, anche se quel suo ritiro all’ultimo minuto non solo ha privato il congresso di una fermentazione dialettica che forse mancherà, ma ha lasciato parecchio perplessi perché non si corre solo per vincere e poi non è detto che vince solo chi taglia il nastro finale. A vincere senza pericolo, si trionfa senza gloria, diceva Pierre Corneille, uno dei drammaturghi più importanti del XVII secolo insieme a Molière e Racine.
La verità è che in questo congresso, venuto meno il confronto sui temi, sulle questioni politiche di fondo del territorio e delle sue città, alla fine ha prevalso un gioco di nomi intorno ai quali si è costruito un tifo da stadio che non è servito a nulla, perché poi sappiamo come funziona la politica, arriva uno e mette d’accordo tutti, bere o affogare!
Questo per dire che nella scelta di Leo Di Gioia di non consumare fino in fondo la sua proposta politica, nel senso che ha fatto un dietro front, leggo un segnale di debolezza e di inadeguatezza, perché la politica ha delle regole ben precise. Vi ricordate cosa disse il principe Andrea Bolkonsky in Guerra e Pace, il capolavoro di Tolstoj? In una battaglia vince colui che fermamente ha deciso di vincere. E i congressi si vincono nei congressi, non sui giornali o nelle televisioni, perché è prioritaria la necessità di andare nelle assemblee per convincere e tentare poi di vincere.
Ora, assodato questo aspetto per me marchiano, vediamo un attimo di capire come si è arrivati poi a Franco Landella, per quali vie.
Per usare un termine tennistico, il passante lo ha indovinato Carmelo Morra, senatore amico di Raffaele Fitto e plenipotenziario in Capitanata di un nutrito seguito di iscritti. E’ stato questo ingegnere magrolino e riservato, dal carattere apparentemente docile e mansueto a chiudere i giochi.
E’ stato lui, con Lucio Tarquinio e Giandiego Gatta a lanciare in fuga Landella, mentre Roberto Ruocco marcava il resto dell’accampamento dove non è stato più possibile rompere lo schema che andava costruendosi, perché quando i giochi si chiudono, si chiudono e basta, questa è la politica, giocare d’anticipo senza farsi cogliere di sorpresa, sembra banale ma è così!
Finito il lavoretto, per Raffaele Fitto e Antonio Leone, sistemati in un osservatorio distante come nel palco centrale di un teatro, non ci sono stati problemi, men ché meno per Antonio Pepe che ha scelto un ruolo molto defilato sulla vicenda congressuale in cui si cimentava un suo ex delfino, il quale probabilmente era convinto che bastasse la bellezza della velocità cantata da Marinetti nel Manifesto del Futurismo, per chiudere la partita!
Il dato positivo di questo congresso è che si chiude all’insegna dell’unità. Ma per far si che dietro questa parola non si nasconda un bieco unanimismo, non sarebbe male che si recuperi un dibattito interno, perché con una sola mozione sarà difficile dare spazio a tutte le idee del cambiamento.
Vedete, lo dico con molta sincerità ma una delle sventure delle persone molto intelligenti è di non poter far meno di capire tutto, i vizi non meno che le virtù.
Ora non resta che augurare a Franco Landella di saper esercitare questo importante ruolo politico nell’interesse del territorio, oltre che per la forza politica rappresentata. Avrà bisogno anche di fortuna, anche se io sento in tutta sincerità di augurargli tanta fantasia, perché la fantasia serve anche al potere, un potere senza fantasia è un potere triste. D’altro canto, Longanesi diceva che la fantasia è la figlia diletta della libertà.
Alla prossima.
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