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QUERELE & RISARCIMENTI fra giornalisti. Ai confini della satira. Diritto di critica, allusioni e falsitą
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QUERELE & RISARCIMENTI fra giornalisti. Ai confini della satira. Diritto di critica, allusioni e falsitą
15/02/2012
QUERELE & RISARCIMENTI fra giornalisti. Ai confini della satira. Diritto di critica, allusioni e falsità

Perché un giornalista satirico denuncia un giornalista che lo critica? Fa riflettere la vicenda di Peppino Caldarola querelato da Vauro per diffamazione e condannato.
Sulla questione il Congresso Mondiale Ebraico si è pronunciato in tutt’altro senso. Tutto è cominciato da una vignetta sulla candidatura di Fiamma Nirenstein.
di Laura Turriziani
OSSIGENO – ROMA, 9 feb 2012 – Peppino Caldarola, già direttore de “l’Unità”, è stato condannato in primo grado a risarcire con 25.000 euro il vignettista Vauro Senesi per averlo tacciato di antisemitismo. Caldarola la considera ingiusta. Anche il Congresso Mondiale Ebraico ha criticato la sentenza. Ma Vauro difende il suo buon diritto: “Caldarola, sostiene, mi ha attribuito parole turpi e razziste che non ho mai detto, e questo non può essere consentito”.
Esaminiamo i fatti. A primavera del 2008, in piena campagna elettorale, Vauro pubblica sul “Manifesto” una vignetta che ritrae Fiamma Nirenstein, giornalista e parlamentare del Pdl, con il naso adunco, fasci littori e la stella di Davide cucita sul petto. La vignetta è intitolata “Mostri elettorali” e sotto il disegno campeggia la scritta “Fiamma Frankenstein” per criticarne la candidatura con il Pdl, che annoverava, e annovera, tra i suoi parlamentari nostalgici dichiarati del Ventennio.
Mesi dopo Caldarola, passato nel frattempo a “Il Riformista”, scrive un corsivo satirico nella sua rubrica “Mambo”, nel quale incidentalmente critica, tra le altre cose, Vauro, ironizzando sul fatto che una rappresentazione a forte connotazione “razziale” secondo i più bassi stereotipi, equivalesse né più né meno che a dare della “sporca ebrea” alla Nirenstein. Un atto di accusa ad una certa sinistra “radical chic” ed al suo (secondo Caldarola) non troppo velato antisemitismo. Da qui la querela di Vauro per diffamazione. Oggi, a tre anni di distanza, la condanna al risarcimento per Peppino Caldarola e per il direttore dell’epoca Antonio Polito.
Caldarola non si arrende e replica che per principio preferirebbe affrontare la galera piuttosto di versare un solo centesimo per una causa dichiaratamente senza fondamento.
L’agguerrito giornalista, ne ha parlato sul quotidiano online Linkiesta, affermando: “Mesi dopo la vignetta scrivo un corsivo sul “Riformista” in cui ironizzo sulla sinistra radical e metto una frase di critica contro la vignetta di Vauro sostenendo che è come se avesse scritto “sporca ebrea”. Da qui la condanna. Se le cose hanno una logica, in questo caso essa è questa: si può rappresentare legittimamente una cittadina italiana indicandone la religione attraverso la propria trasfigurazione con il naso adunco e la stella di Davide, non si può criticare questa vignetta con un testo ironico che interpreta il giudizio di Vauro. L’ebreo di destra è interpretabile e rappresentabile razzialmente, malgrado non abbia il naso adunco né giri con la stella di Davide, non si può dire invece che tutto ciò porta alla mente l’anatema sugli sporchi ebrei”.
Ossigeno ha chiesto a Vauro perché la satira non ha limiti e non ammette censure, e invece il diritto di esprimere giudizi negativi può essere limitato dai giudici. La querela, ha spiegato, è scaturita dal fatto che Caldarola gli ha attribuito la frase virgolettata “sporca ebrea” riferita alla Nirenstein.
“’Sporca ebrea’ – dice Vauro – è una frase che attribuita a chiunque, da chiunque, è di una gravità eccezionale, infamante perché tipica di una subcultura razzista ed antisemita, contro la quale da sempre mi batto. Trovarmela in bocca in un virgolettato, senza averla mai scritta né pronunciata è per me intollerabile. Caldarola poteva scrivere che sono uno stronzo, che non so disegnare, che la vignetta a suo giudizio era scandalosa e antisemita… questo era nel suo diritto di critica. Avrei risposto argomentando e non con la querela. Non poteva invece scrivere, a otto mesi di distanza dall’uscita e senza neanche citare la vignetta incriminata, che ho dato della “sporca ebrea” alla Nirenstein. Questo non rientra nel diritto di critica né in quello di satira: è semplicemente una falsità”.
“La satira per sua natura è scorretta, ma – aggiunge Vauro – non è diffamazione perché parte da fatti realmente accaduti e in quel caso il senso della vignetta era chiarito già dalle parole “Mostri elettorali” con cui rilevavo la contraddizione nella figura della Nirenstein, ebrea ma candidata in un partito di destra. Tra l’altro, non ho affatto accentuato il naso adunco per bollarla con un tratto tipico della cultura antisemita, anzi non ho neanche calcato la mano. Cosa dovrebbero dire Fassino, Gasparri, Berlusconi e tutti gli altri protagonisti delle mie vignette? I tratti caricaturali li uso anche per disegnare me stesso…E non devo dare conto ai vari Pierluigi Battista e agli altri che si sono precipitati a commentare una sentenza che non è ancora neanche uscita né è stata depositata. Non posso neanche accettare l’invito bonario di Gad Lerner e Ritanna Armeni al “volemose bene”; ritirare la querela e tutto finisce là. Ha ragione Moni Ovadia sull’ “Unità”: le mie vignette sono feroci, come deve essere la satira, ma per sostenere che quella vignetta avesse intenzioni antisemite, antiebraiche o anti israeliane tout court, bisogna essere profondamente in malafede”.
La sentenza ha suscitato un vespaio di polemiche tra i sostenitori delle ragioni dell’uno e dell’altro, tutte giocate sul filo dell’ironia pesante, e forse troppo greve, usata per esprimere la presunta incompatibilità tra l’essere ebrei e candidarsi in un partito di destra (Vauro), e della interpretazione letterale o meno delle parole usate per condannarla (Caldarola).
Dura la presa di posizione del Presidente del World Jewish Congress (WJC) Ronald S. Lauder. “Una farsa ed un insulto. “Mentre l’uomo che difende la donna ebrea – ha commentato all’indomani della sentenza – è stato multato, l’autore di questa impudente vignetta antisemitica è stato assolto ed ha avuto dalla Corte la libertà di prendere in giro e di spargere veleno nel dibattito politico italiano. Nirenstein è un’eccellente parlamentare che non si tira indietro di fronte alle battaglie politiche. Anche se è legittimo dissentire dalle sue idee, nessuno è legittimato invece ad attaccarla per il fatto che è ebrea e impegnata nella promozione di Israele. Le caricature antisemitiche o razziste non hanno nulla a che fare con la satira, davvero; sono semplicemente deprecabili”. Lauder ritiene molto preoccupante il fatto che un giudice abbia sancito il diritto di insultare un’ebrea usando un vecchio cliché antisemita, e ha negato ad un giornalista il diritto di accusare il vignettista di antisemitismo.
Insomma in questa vicenda la libertà di satira, il diritto di critica e quello di difendere un popolo dai pregiudizi razziali, l’un contro l’altro armati, hanno rimesso al tribunale il compito di conciliare tre interessi che sono tutti egualmente rispettabili, sono garantiti dalla Costituzione, ma hanno dei limiti reciproci. Quando prevale il confronto e il buon senso, per conciliare questi interessi si trovano altre sedi, non il tribunale, e si usano strumenti diversi dal risarcimento.

Laura Turriziani per Ossigeno
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